Tempio di Giunone Lacinia
Edificato su di uno sperone del rialzo in gran parte sostruito artificialmente, è un edificio in stile dorico del 450 a.C. circa (m 38,15x16,90), periptero di 6x13 colonne, con pronao e opistodomo in antis, scale per l'ispezione del tetto e krepidoma di quattro gradini. Se ne conservano (con anastilosi proseguite dal Settecento ad oggi) il colonnato settentrionale con l'epistilio e parte del fregio, e solo in parte gli altri tre, con pochi elementi della cella. L'edificio, recante i segni dell'incendio del 406 a.C., è stato restaurato in età romana, con la sostituzione delle tegole fittili con quelle marmoree e con l'aggiunta del piano inclinato alla fronte orientale. Davanti a quest'ultimo lato ci sono notevoli resti dell'altare.
Precorrendo la strada verso ovest, si possono vedere gli arcosoli scavati nella roccia all'interno delle mura, attribuiti con altri ipogei circostanti ad età bizantina, che appartengono alla vasta area cimiteriale collegata con la chiesa dei SS. Pietro e Paolo realizzata sul finire del VI secolo d.C. dal vescovo Gregorio all'interno del tempio della Concordia.
Tempio della Concordia
Questo tempio, costruito come quello di Giunone su di un massiccio basamento destinato a superare i dislivelli del terreno roccioso, per lo stato di conservazione è considerato uno degli edifici sacri d'epoca classica più notevoli del mondo greco (440-430 a.C.). Su di un krepidoma di quattro gradini (m 39,44x16,91) si erge la conservatissima peristasi di 6x13 colonne, caratterizzate da venti scanalature e armoniosa entasi (curvatura della sezione verticale), sormontata da epistilio, fregio di triglifi e metope e cornice a mutuli;
conservati sono anche in maniera integrale i timpani. Alla cella, preceduta da pronao in antis (come l'opistodomo) si accede attraverso un gradino; ben conservati sono i piloni con le scale d'accesso al tetto e, sulla sommità delle pareti della cella e nei blocchi della trabeazione della peristasi, gli incassi per la travatura lignea di copertura. L'esterno e l'interno del tempio erano rivestiti di stucco con la necessaria policromia. La sima mostrava gronde con protomi leonine e la copertura prevedeva tegole marmoree. La trasformazione in chiesa
cristiana comportò anzitutto un rovesciamento dell'orientamento antico, per cui si abbatté il muro di fondo della cella, si chiusero gli intercolunni e si praticarono dodici aperture arcuate nelle pareti della cella, così da costituire le tre navate canoniche, le due laterali nella peristasi e quella centrale coincidente con la cella. Distrutto poi l'altare d'epoca classica e sistemate negli angoli a est le sacrestie, l'edificio divenne organismo basilicale virtualmente perfetto. Le fosse scavate all'interno e all'esterno della chiesa si riferiscono a sepolture alto-medievali, secondo la consuetudine collocate in stretto rapporto con la basilica.
Tempio di Esculapio
Il tempio di Esculapio è posto al centro della piana di San Gregorio. Si è propensi a ritenere l'identificazione tradizionale come probabile sulla scorta della descrizione di Polibio (I 18, 2), secondo il quale tale tempio doveva trovarsi "davanti alla città", alla distanza di un miglio, dalla parte verosimilmente opposta alla strada per Eraclea. Tutta la distanza non corrisponde, però, bene all'indicazione polibiana (che potrebbe tuttavia avere carattere generico) e, soprattutto, l'isolamento e la relativa modestia ed antichità (per il culto d'Asclepio) dell'edificio lasciano perplessi sull'identificazione. Nel santuario di Asclepio si conservava una statua bronzea d'Apollo opera di Mirone, donata da Scipione alla città e rubata da Verre (Cicerone, Verrine, II 4, 93). Il piccolo tempio dorico in antis (m 21,7x10,7) sorge su krepidoma di tre gradini e basamento a vespaio più ampio del krepidoma stesso. Particolarità insolita dell'edificio è il falso opistodomo rappresentato da due semicolonne fra ante nella parte esterna del fondo della cella, che vuole così imitare una struttura amfiprostila. Sono note anche parti della trabeazione, con gronde a testa leonina, fregio e geison frontonale. La data del tempio va forse posta all'ultimo ventennio del V secolo a. C.
Tempio di Ercole
Ritornati sul ciglio della Collina dei Templi, sullo sprone roccioso orientale della Porta Aurea, dopo un sacello arcaico, detto di Villa Aurea (m 31,55x10,55), originariamente decorato con belle decorazioni architettoniche, è posto il tempio di Ercole, attribuzione anche questa umanistica, basata sulla menzione ciceroniana (Verrine, II 4,94) di un tempio dedicato all'eroe non longe a foro: che l'agorà d'Agrigento sorgesse in questo posto è però - come si è visto - tutt'altro che dimostrato.
La cronologia tradizionale del tempio (ultimi anni del VI secolo), basata sui caratteri stilistici e soprattutto su proporzioni, numero delle colonne, profilo della colonna e del capitello, appare pienamente giustificata, ma non è improbabile che questo tempio sia il primo riconducibile all'attività Terone, poiché rappresenta un'innovazione rispetto alla prassi architettonica del VI secolo a.C. Anche la trabeazione costituisce un problema, poiché conosciamo due tipi di sime laterali con gronda a testa leonina, una prima - meno conservata dell'altra - databile al 470-60 a. C. e una seconda della metà circa del V secolo a.C.: la soluzione più logica sembra essere che la prima gronda sia quell'originaria, e la seconda una sostituzione di pochi decenni più tarda (per motivi a noi sconosciuti), e che dunque il tempio si dati, nella sua fondazione, agli anni anteriori alla battaglia di Himera; il completamento sarebbe da collocare un decennio dopo, o poco più. Non bisogna dimenticare che, malgrado il carattere topico dell'aneddoto, la versione fornitaci da Polieno (VI 51) circa la presa del potere da parte di Terone è strettamente collegata all'attività edilizia per la costruzione di un tempio di Atena voluto dalla città, che può ben essere un nuovo Athenaion sull'acropoli, ma anche un secondo santuario della grande dea poliade agrigentina nella città bassa. L'edificio, con visibili restauri d'età romana e la cui anastilosi risale a circa sessant'anni or sono, sorge sopra un krepidoma di tre gradini posto su di una sostruzione per i lati nord e ovest, ed
è di proporzioni allungate (m 67x25,34), con una peristasi di 6x15 colonne doriche e lunga cella munita di pronao ed opistodomo in antis. Vi si riconosce anche il primo esempio - poi canonico nei templi agrigentini - dei piloni tra pronao e cella con scalette interne per l'ispezione del tetto. Le colonne, molto alte, sono munite di capitelli assai espansi, con profonda gola tra fusto ed echino, tratti questi che denotano, con l'allungamento della cella e l'ampia spaziatura dei colonnati rispetto alla cella, il relativo arcaismo dell'edificio, che è comunque separato da almeno un trentennio dagli altri templi peripteri dorici agrigentini. Sulla fronte orientale sono i resti del grande altare del tempio.
Campo dell'Olympeion
Sull'altro lato della strada che imbocca la Porta Aurea si stende una vasta spianata, dominata dal gigantesco campo dell'Olympeion. Da un punto di vista topografico generale, il complesso, in rovina, appare virtualmente racchiuso tra una grande platea a nord, da uno stenopòs ad est, e da due isolati con relativi stenopoi ad ovest, mentre a sud corre la linea delle mura. È invece poco chiara la situazione ad est, oltre il grande altare del tempio, dove viene comunemente indicata la "zona dell'agorà" e dove si colloca un vasto parcheggio moderno, così come non definite bene sono le pertinenze occidentali del santuario, tra gli isolati d'abitazione e il colossale tempio.
Ad ovest di questi isolati d'abitazione, racchiuso da una stoà a L, si trova un altro santuario, di cui restano un piazzale lastricato, una sacello di pianta complessa e una tholos. Questo santuario posa su di uno sprone, ad est di un'ulteriore porta urbica, la V, sul cui altro lato si collocano in successione, fino al limite sud-occidentale della Collina dei Templi, il santuario delle divinità ctonie scavato dal Marconi, il nuovo santuario arcaico esplorato dal Del Miro, la cosiddetta colimbetra (dove si deve collocare un'altra porta ancora sconosciuta), e la punta estrema col tempio di Vulcano.
Tempio di Zeus Olimpico
Il complesso dell' Olympeion s'incentra sul colossale edificio sacro, descritto in termini entusiastici da Diodoro (XIII 81, 1-4) e ricordato da Polibio (IX 27, 9). Oggi il tempio è ridotto da un campo di rovine dalle distruzioni iniziate già nell'antichità e proseguite fino ad epoca moderna, quando l'edificio venne usato (ancora nel secolo XVIII) come cava di pietra per la realizzazione dei moli di Porto Empedocle. L'aspetto complessivo del tempio è nelle grandi linee noto, ma sussistono ancora molte controversie su particolari importanti della ricostruzione dell'alzato, cui è dedicata un'intera sala del Museo Nazionale. Il tempio misurava m 112,70x56,30 allo stilobate. Su di un poderoso basamento, sormontato da un krepidoma di cinque gradini, si collocava il recinto, con sette semicolonne doriche sui lati corti e quattordici sui lati lunghi, collegate fra loro da un muro continuo e alle quali, all'interno, facevano riscontro altrettanti pilastri. Negl'intercolunni di questa pseudo-peristasi, a metà altezza circa del muro e - sembra - su di una sorta di piedistallo costituito da una cornice continua, posavano dei telamoni alti ben 7,65 metri, che, con le gambe divaricate e le braccia ripiegate dietro la testa, dividevano con le colonne il peso degli
architravi della pesudo-peristasi. Dubbi sussistono sulla presenza di finestre, intervallate fra i telamoni e le semicolonne, che si pensa dessero luce all'interno della pesudo-peristasi, tra questa e la cella, se il tempio (che nella parte della cella era certamente ipetrale, ossia scoperto) si presentava invece coperto almeno nello spazio degli pteròmata. La cella era costituita da un muro collegante una serie di dodici pilastri per ciascuno dei lati lunghi, di cui quelli angolari delimitavano gli spazi del pronao e dell'opistodomo, mentre l'ingresso della pseudo-peristasi alla cella stessa era assicurato mediante porte, di numero e di localizzazione incerta, aperte nel muro continuo della pseudo-peristasi. La gigantesca costruzione era interamente realizzata a piccoli blocchi, comprese le colonne, i capitelli, i telamoni e gli architravi, ciò che lascia molte incertezze sull'effettivo sviluppo dell'alzato: per citare alcuni dati certi, oltre alla già ricordata altezza dei telamoni (m 7,65), la trabeazione era alta m 7,48 e il diametro delle colonne era di m 4,30, con scanalature nelle quali - come afferma Diodoro - poteva entrare comodamente un uomo, mentre le colonne dovevano sviluppare un'altezza calcolata tra i 14,50 e i 19,20 m; la superficie copriva un'area di 6340 m2. La descrizione di Diodoro parla di scene della gigantomachia ad est e della guerra di Troia ad ovest. Si è discusso se egli parli di decorazione frontonale o di semplici metope (a Selinunte - ricordiamo - solo le metope del pronao e dell'opistodomo sono decorate), ma la scoperta recente di un attacco tra un torso di guerriero ed una bellissima testa elmata di pieno stile severo (al Museo Nazionale), conferma che il tempio aveva una decorazione marmorea a tutto tondo più compatibile con cavi frontonali che con spazi metopali, di cui si è sempre, in età classica ed ellenistica, avvertita l'originaria funzione di spazio da chiudere, eventualmente dipinto (e la decorazione a rilievo è appunto sostitutiva di quella dipinta).
L'Olympeion - afferma Diodoro - rimase incompiuto per la conquista cartaginese: sempre secondo Diodoro, esso era privo di tetto per le continue distruzioni subite dalla città. Di esso restano visibili l'angolo sud-est, due tratti settentrionali della pseudo-peristasi, i piloni del pronao, dell'opistodomo e metà circa del lato nord della cella. Intorno ai resti del basamento si conservano, talora in posizione di caduta, alcune parti dell'alzato, nonché la ricostruzione di un capitello e di un telamone (in calco; l'originale al Museo). Davanti alla fronte orientale è visibile il basamento a pilastri dell'altare, non meno colossale del tempio (m 54,50x17,50). Presso l'angolo sud-est del tempio si conserva un piccolo edificio (m 12,45x5,90) a due navate con profondo pronao, doppia porta d'accesso ed altare (?)
antistante, un sacello piuttosto che un thesauros, di cronologia controversa, secondo alcuni d'età ellenistica, ma molto probabilmente arcaico, viste le numerose terrecotte architettoniche di VI secolo a.C., rinvenute nella zona durante gli scavi del Gabrici del 1925.
A sud-ovest di questo sacello, lungo la linea delle mura, sono i resti di una stoà del IV secolo a. C., con una vasca intonacata all'estremità orientale e cisterne sulla fronte e alle spalle, da dove proviene materiale votivo d'età timoleontea, mentre resti di un precedente edificio (cui sembrano da riferirsi le cisterne) sono visibili attorno alla cisterna più vicina alle mura.
Tempio L
Ad ovest del piazzale lastricato, vicino al Santuario delle divinità Ctonie, e come questo di recentissimo scavo (ancora sostanzialmente inedito), troviamo un sacello arcaico, sostituito in età classica da un altro edificio sacri di pianta insolitamente complessa. Subito dopo s'incontrano i tagli nella roccia per le fondazioni di un tempio (tempio L), con resti all'intorno dell'alzato (colonne e trabeazione) e, sulla fronte orientale, del grande altare rettangolare. Si tratta di un tempio completamente distrutto, della metà del V secolo a. C. (altri ritengono l'edificio ellenistico), di m 41,80x20,20 allo stilobate (i tagli nella roccia misurano m 44,30x21,20), cui nel III secolo a. C. sarebbe stata sovrapposta una barocca trabeazione ellenistica.
Tempio dei Dioscuri
Pochi metri a nord, un'altra complessa serie di tagli nella roccia e di fondazione costituisce un terzo capitolo della difficile storia dell'area sacra. A nord, subito dopo il tempio L, è la pittoresca rovina ricostruita nella prima metà dell'Ottocento con pezzi di varia epoca rivenuti nella zona e battezzata "tempio dei Dioscuri". La rovina insiste sull'angolo nord-ovest di un edificio templare misurante m 31x13,39 allo stilobate (i tagli nella roccia misurano m 38,69x16,62), che è ricostruibile come un periptero dorico di 6x13 colonne, della metà circa del V secolo a. C. Il tempio doveva presentare il canonico insieme di cella terminata da pronao ed opistodomo in antis (visibili pochi resti del vespaio delle fondazioni, e i tagli nella roccia); i resti di geison con ricca ornamentazione scolpita messi in opera nella rovina non appartenevano originariamente al tempio.
Tempio di Vulcano
Sull'altro lato della valle è l'ultimo sprone ad ovest della Collina dei Templi, dominata dai resti del tempio di Vulcano. L'edificio dorico del V secolo a.C. è preceduto da un sacello arcaico racchiuso dalla cella del tempio classico. Si tratta di un
edificio con cella e pronao (m 13,25x6,50), di cui è stata di recente ricostruita la decorazione architettonica, con lastre a cassetta laterale e frontonale e una sima laterale con doccioni a tubo, databile al 560-550 a. C. L'edificio dorico sovrapposto a questo sacello mediante profondi intagli a tre gradini nella roccia è assai mal conservato, tranne che nelle fondazioni e in poche parti dell'alzato (m 43x20,85): era un periptero dorico su krepidoma di quattro gradini, di 6x13 colonne munite di una rudentatura d'evidente influsso ionico, databile intorno al 430 a. C.
Sul lato occidentale della città si conservano i resti delle Porte VI e VII, la prima probabilmente con porta e controporta al centro di una valletta attraversata da una strada diretta forse ad Eraclea, la seconda guarnita da due torri e, a valle, da due poderosi baluardi esterni, il primo dei quali è spesso oltre quindici metri, un sistema di difesa avanzata noto anche altrove nel mondo greco, e in Sicilia a Camarina. Più a nord sono i resti delle Porte VIII e IX, travolti purtroppo dall'incivile speculazione edilizia, iniziata già nel dopoguerra e proceduta sistematicamente sulla pendici della Rupe Atenea, malgrado il tragico crollo di pochi anni or sono, che sollevò le proteste dell'opinione pubblica nazionale ed internazionale.